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Import - Export: nuovi scenari per le aziende che operano con l’estero

Come cambia il commercio internazionale nel secondo semestre del 2025, tra dazi, frammentazione geopolitica e volatilità dei mercati
11.08.2025

Nel 2025, il commercio internazionale sta attraversando una fase di trasformazione profonda, segnata da nuove tensioni geopolitiche. In questo contesto mutevole, esportare non è più solo una questione di competitività, ma di capacità strategica di adattamento.

Come evidenziato nel precedente approfondimento macroeconomico dell’andamento import-export, in questi mesi le aziende italiane si sono trovate ad affrontare uno scenario incerto, caratterizzato da nuove barriere al commercio e da una ridefinizione in corso delle catene globali del valore. In particolare, l'intensificarsi dei dazi statunitensi, la volatilità dei mercati emergenti e l'erosione della fiducia nel dollaro stanno trasformando le tradizionali logiche dell'internazionalizzazione.

In questo quadro, l'Italia conserva una posizione di relativa stabilità, grazie a una crescita economica moderata e a un sistema produttivo versatile, con punte di eccellenza nei comparti a più alto valore aggiunto. Tuttavia, la pressione esterna impone un cambio di passo: per rimanere competitive, le imprese italiane devono ridefinire le strategie di export, puntando su diversificazione, innovazione e resilienza.

Con il supporto del Research Department di Intesa Sanpaolo, analizziamo i principali trend emersi nel primo semestre del 2025, offrendo strumenti e spunti operativi per pianificare il secondo semestre con visione strategica.

 

SCENARIO GLOBALE: PIÙ RISCHI, MENO CERTEZZE
 

Secondo lo scenario macroeconomico pubblicato da Intesa Sanpaolo nel giugno 2025, il commercio mondiale sta rallentando, penalizzato da tre fattori chiave:

  • Le crescenti tensioni in Medio Oriente;
  • Le politiche commerciali restrittive degli Stati Uniti, con dazi medi saliti al 16%;
  • Il calo di fiducia nel dollaro come valuta di riserva.

Nonostante questi ostacoli, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede una crescita globale del 3% nel 2025, con una possibile lieve ripresa nel 2026, ma il quadro resta fragile.

Secondo McKinsey, entro il 2035 il commercio globale potrebbe crescere di 12.000 miliardi di dollari, raggiungendo i 45.000 miliardi. Tuttavia, nello stesso periodo, la frammentazione geopolitica potrebbe portare alla perdita di fino a 3.000 miliardi di dollari di potenziale crescita del commercio globale.

I possibili scenari sono tre:

  • Baseline: crescita stabile, con +2,7% annuo del PIL globale;
  • Diversificazione: le aziende riducono la dipendenza da pochi fornitori con un impatto di circa -1.000 miliardi di dollari di crescita potenziale;
  • Frammentazione: dazi fino al 60% tra economie geopoliticamente distanti con un impatto di circa -3.000 miliardi di dollari di crescita potenziale

Il 31% del commercio globale del 2035 potrebbe spostarsi da un corridoio all’altro, con impatti significativi su settori come elettronica, tessile e macchinari.

Emerge dunque la necessità di anticipare i cambiamenti e adattarsi a un paradigma commerciale più frammentato e meno prevedibile.

 

USA: PROTEZIONISMO E INCERTEZZA FISCALE


La politica commerciale statunitense nel 2025 ha visto una decisa virata verso il protezionismo. L’introduzione di oltre 115 provvedimenti restrittivi ha modificato gli equilibri esistenti, con un impatto diretto su partner storici come l’Unione Europea. Secondo il Research Department di Intesa Sanpaolo, i dazi medi sono saliti al 16%, incidendo sulla competitività dei prodotti esteri e spingendo molte imprese USA a rivedere le proprie catene di approvvigionamento.

Parallelamente, il pacchetto fiscale “One Big Beautiful Bill Act” (OBBBA) ha alimentato preoccupazioni sul futuro della finanza pubblica americana. Le previsioni parlano di un debito pubblico in crescita fino al 200% del PIL entro il 2055, con ricadute sull’inflazione e sugli investimenti. Per le imprese italiane, tutto ciò comporta una maggiore difficoltà di accesso al mercato USA, sia in termini di costi che di incertezza normativa.

A fronte di queste dinamiche, l’Italia deve rafforzare la propria presenza attraverso canali digitali, reti locali e accordi bilaterali, puntando su settori dove la domanda rimane solida, come la farmaceutica, l’agroalimentare e la tecnologia industriale.

 

EUROPA: RESILIENZA A METÀ


Il Vecchio Continente affronta il 2025 con una doppia velocità. Da un lato, si registra una crescita modesta ma stabile: il PIL dell’Eurozona è previsto in crescita a ritmi medi intorno all’1% nel biennio 2025-26. Dall’altro, l’incertezza politica e le tensioni commerciali pesano sulla fiducia di imprese e consumatori. Il raggiungimento di un accordo commerciale potrebbe contribuire a ridurre l’incertezza ma l’aumento dei dazi verso il 15% dovrebbe aver comunque un impatto frenante. Il ritorno al protezionismo degli USA ha colpito anche alleati storici come l’UE, spingendo la Commissione Europea a promuovere un programma di autonomia strategica con nuovi accordi commerciali con India, ASEAN e Mercosur.

In Germania, la “locomotiva d’Europa”, si intravedono segnali di ripartenza grazie a un piano fiscale che punta a rilanciare gli investimenti infrastrutturali e digitali. Tuttavia, il rischio di rallentamento resta, specie se la domanda globale non riprende con forza.

La Francia, invece, sconta un contesto interno più fragile, con consumi deboli e un clima politico incerto.

Per le imprese italiane, il mercato europeo resta comunque il primo riferimento, soprattutto per chi ha già consolidato una rete commerciale. Ma serve adattarsi: investire in digitalizzazione, rafforzare la sostenibilità di prodotto e di filiera e cogliere le opportunità offerte dai piani di ripresa europei.

 

ITALIA: STABILITÀ INTERNA E NUOVE SFIDE ESTERNE


In un contesto internazionale segnato da instabilità e nuove barriere, l’Italia si distingue per una relativa tenuta del proprio sistema economico. Secondo il Research Department di Intesa Sanpaolo, la crescita del PIL è stimata allo 0,7% per il 2025, con un ulteriore incremento previsto nel 2026. I principali driver sono la domanda interna e gli investimenti pubblici finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

L’export, però, rappresenta l’anello debole in questo scenario. L’effetto combinato di dazi statunitensi, rallentamento della Germania e frammentazione delle rotte globali penalizza le imprese italiane, in particolare nei settori manifatturieri. Il PNRR, se attuato in modo efficace, potrebbe contribuire per oltre 0,4 punti percentuali alla crescita del 2026, fornendo risorse per modernizzare infrastrutture, digitalizzare i processi produttivi e potenziare la competitività internazionale.

Tuttavia, restano alcune vulnerabilità: la frammentazione delle supply chain, la dipendenza da pochi mercati e la necessità di innovare nei processi commerciali. È qui che si gioca la sfida del secondo semestre 2025.

 

PROSPETTIVE FUTURE: ANTICIPARE IL CAMBIAMENTO, RAFFORZARE LA RESILIENZA


Secondo un’analisi dell’ International Chamber of Commerce (ICC), la crescente frammentazione del sistema multilaterale rappresenta oggi una delle minacce più gravi alla stabilità degli scambi internazionali. Solo nel 2024, sono state introdotte oltre 3.000 nuove restrizioni commerciali tra dazi, controlli all’export e misure non tariffarie. L’erosione progressiva delle regole multilaterali, un tempo garantite dal World Trade Organization (WTO), espone in particolare i Paesi in via di sviluppo a una contrazione fino al 33% nel commercio di beni e a perdite permanenti di PIL superiori al 5%.

Per le imprese italiane, questo scenario si traduce in una maggiore volatilità dei costi, un crescente disallineamento normativo tra mercati e un’esigenza sempre più pressante di potenziare le proprie capacità di adattamento. In un contesto in cui la pianificazione di medio-lungo periodo è messa alla prova da variabili difficilmente controllabili, rafforzare la resilienza operativa è una necessità strategica.

L’ICC sottolinea come i dazi, pur pensati per tutelare l’industria nazionale, non si siano dimostrati strumenti efficaci nel lungo periodo. Le imprese che hanno risposto all’inasprimento delle barriere doganali con piani di investimento e diversificazione hanno evidenziato migliori performance rispetto a chi è rimasto ancorato a logiche tradizionali. Le criticità più rilevanti, secondo l’ICC, riguardano:

  • l’incremento dei costi operativi lungo la filiera;
  • la perdita di competitività sui mercati globali;
  • la difficoltà nel pianificare investimenti di lungo termine.

     

PREPARARSI AL CAMBIAMENTO, COSTRUIRE COMPETITIVITÀ


Il secondo semestre del 2025 rappresenta una finestra cruciale per il futuro dellexport italiano. Le sfide sono complesse, ma non mancano opportunità per le imprese che sapranno coglierle. Il tessuto produttivo italiano ha dimostrato negli anni una straordinaria capacità di adattamento, coniugando tradizione manifatturiera, creatività e capacità di innovazione.

Per affrontare le incertezze del commercio globale, sarà fondamentale:

  • agire con visione strategica;
  • rafforzare le competenze interne, anche tramite la formazione su normative e scenari internazionali;
  • investire in strumenti digitali e tecnologie adattive per simulare e rispondere in tempo reale alle variazioni normative e commerciali;
  • dotarsi di una rete di alleanze con partner finanziari solidi, in grado di supportare l’internazionalizzazione con strumenti su misura.

Il ruolo delle banche — in particolare quelle con presenza internazionale consolidata — sarà centrale per accompagnare le imprese nei processi di crescita all’estero. Offrire consulenza, soluzioni finanziarie e strumenti di trade finance significa, oggi più che mai, essere parte attiva nella costruzione di un export italiano più forte, sicuro e sostenibile.

L’Italia ha tutte le carte in regola per essere protagonista nel nuovo paradigma del commercio globale: è necessario passare da una logica difensiva a una logica di leadership, anticipando i trend, costruendo resilienza e trasformando l’incertezza in leva competitiva.


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